Convegno ACRU “Abitare le relazioni. Tra differenza e autenticità”
Di Filippo Ursitti
Si è tenuto a Milano tra il 9 e il 10 Ottobre il convegno di formazione “Abitare le relazioni. Tra differenza e autenticità” presso l’Università Cattolica del Sacro Cuore. L’obiettivo di tale convegno era di educare alle relazioni autentiche e feconde sia direttori, e chi con loro gestiscono le residenze universitarie, sia gli studenti sia vivono al loro interno.
Dopo il saluto delle autorità, tra cui il Magnifico Rettore dell’Università Cattolica, prof. Franco Anelli, che, citando p. Agostino Gemelli OFM, ha voluto sottolineare l’importanza dei collegi come luoghi di integrazione della proposta formativa dell’Università, e di Mons. Claudio Giuliodori, Assistente generale dell’Università Cattolica, ha avuto inizio il nostro convegno.
Nel primo intervento “Il collegio universitario come luogo per abitare le relazioni” il professor Pierpaolo Triani, docente di Didattica Generale presso la Facoltà di Scienze della Formazione nella Cattolica, poneva l’accento su come e quando si può parlare di relazione e, cosa più importante, come si giunge a tale traguardo con l’altro. Infatti, quello che il prof. Triani chiama abitus relazionale è un insieme di acquisizioni, trasformazioni, mantenimenti di se stessi che ci porta a essere risorsa fondamentale per gli altri, intesi non solo come singoli ma anche come comunità.
Presentando il tema “Scoprire la ricchezza della differenza”, la prof.ssa Scabini, docente emerito dell’Università Cattolica, ha parlato della differenze dei rapporti nella famiglia, dato che il luogo dove differenza e relazione si connettono è anzitutto la famiglia. Venivano individuate due differenze fondamentali dell’umano: la duplicità di uomini e donne e la differenza delle generazioni (tra originante e originato, che a sua volta diviene originante). Il post-modernismo, negando le differenze – spiegava la professoressa – ha segnato il passaggio dalla differenza che si apre alla relazione all’indifferenziato che pretende i suoi diritti. Il rispetto delle differenze è ciò ch
e consente la relazione.
Il giorno successivo, la prof.ssa Moscato, docente di Pedagogia generale sociale presso l’Università di Bologna, ha tenuto la sua relazione sul tema “Crescere come donne e uomini aperti al mistero”. Una premessa è stata posta a fondamento di questo intervento: l’androcentrismo che ha segnato e in parte segna ancora il cristianesimo è parte della sua espressione storica e non del suo contenuto teologico. Per commentare il rapporto uomo/donna la prof.ssa si rifà ad un’espressione del Cantico dei Cantici, in cui la sposa viene chiamata “sorella”, come in altri passi biblici avviene anche in riferimento allo sposo. L’uso biblico dei termini “fratello/sorella” sta a designare una relazione tra due soggetti diversi ma posti in un’assoluta parità, in cui il legame sponsale non è oggetto di conquista, né di potere di uno sull’altro. Il rapporto tra uomo/donna – continua la prof.ssa Moscato – è stato al centro del dibattito culturale degli anni ’70 e ’80 ma ancora oggi la riflessione teologica di quegli anni (basti pensare alle catechesi di Giovanni Paolo II) è in cerca di una totale attuazione. Attualmente al centro del dibattito culturale è la questione dell’omosessualità. Ora, la Teoria del Gender, nella misura in cui arriva all’affermazione si definisce come vuole, non solo è fortemente ideologica ma è anche falsa, perché confonde la possibilità di fare iniezioni di ormoni o di fare interventi chirurgici con una reale autodefinizione anche della propria biologia, che per altro sarebbe anche cosa capricciosa. Non per questo però si può negare l’influenza della cultura sulla definizione dell’identità senza cadere allo stesso modo nell’ideologia. Occorre recuperare serenità intorno a questi temi, per favorire un dialogo autentico, evitando l’irrigidimento nel senso opposto.
Dopo aver offerto uno sguardo d’insieme sul convegno, a cui ho partecipato in qualità di studente di Casa Monteripido insieme ad un altro ragazzo e al nostro direttore, condivido quanto più mi è sembrato più utile.
Personalmente ritengo che la prima relazione sia stata non dico la migliore, ma la più interessante poiché credo che la (buona) comunicazione sia il primo passo per il raggiungimento, e poi il consolidamento di una relazione. Ciò che più di tutto mi ha interessato (stupito) è stata la capacita del professore di decostruire, o più semplicemente di analizzare e descrivere le varie tappe che costituiscono il concetto di relazione. Il primo passo è di parlare non di relazione ma di contatto, poiché nelle prime fasi della comunicazione avviene un contatto con scambi d’informazioni (come le nostre generalità) con l’altro. Dopo questo primo scambio il contatto “evolve” in un’interazione, cioè gli interlocutori si scambiano dei ruoli (professore-studente), e tale scambio avviene reciprocamente. Si arriva così alle transazioni, dove ci si scambia oggetti, cose e servizi. Perciò dal semplice scambio d’informazioni si arriva a quello di cose, e attraverso tale dinamica alla fase finale, durante la quale si scambiano dei legami (si pensi a quello che avviene durante le vacanze quando si fanno nuovi amici). Perciò parlare di relazione, non è per niente banale, anzi bisogna rammentare che la relazione è un processo lungo e faticoso che richiede costante impegno da entrambe le parti, senza le quali non si potrebbe mai superare il primo e più semplice livello di contatto. Durante questo processo potremmo anche incontrare alcuni rischi come:
- Confondere il contatto con la relazione. Spesso oggi si tende a sopravvalutare ciò che abbiamo/facciamo/riceviamo, e questo avviene soprattutto nell’interazione con l’altro. Come già detto lo scambio d’informazioni, non è relazione ma solo il primo passo del rapporto tra due individui, e non uno scambio di legami.
- Attribuire troppa enfasi alle emozioni. Purtroppo un altro problema di oggi è di considerare eccessivamente, e alle volte solamente le emozioni eliminando tutto il resto.
- Curvare sull’Io. Tale è il rischio di chi non si sforza di uscire dalla sfera del proprio io, e di accusare l’altro per non riuscire a capirci quando sono lui/lei il primo/a negare tale possibilità d’incontro.
- Sospettare delle istituzioni/organizzazioni considerandoli limiti della relazionalità. Questo avviene specialmente nella vita in comunità e nasce quando una persona ha una crisi di fiducia in se stessa, ma non vuole farsi aiutare poiché vede nell’altro/a un ruolo diverso dal suo (capo) che perciò impedisce a quest’ultima di capire che l’altro/a vive le sue stesse situazioni, negando a entrambe una possibilità di crescita collettiva.
Conoscendo a questo punto gli elementi di una buona relazione si possono comprendere le potenzialità di un collegio/residenza universitaria:
- Lo stare dentro (fisicamente) in continui scambi, interazioni e relazioni.
- Acquisire l’abitudine alla relazionalità
- Implementare le categorie relazionali non considerando solo quella padre/madre-figlio/a
- Approfondire la conoscenza di se stessi e poi degli altri.
- Assumere delle responsabilità per l’altro.
Per quanto concerne il secondo e terzo intervento, si è cercata di mostrare la connessione tra questa confusione con la mancanza di una genealogia (origine) chiara, o peggio con la negazione di quest’ultima. Ciò che ne deriva è la mancanza di un amore strutturale per i propri figli (un amore volto alla crescita e al supporto di questi) oppure ad un errato processo di sessuazione (processo con il quale ci identifichiamo con il nostro corpo).
Il convegno ha quindi chiarito ed esposto ai direttori e agli studenti delle tematiche come quella dei gender studies, maschilismo/femminismo e della relazionalità attraverso chiavi di lettura nuove che attraverso mettono in discussione stereotipi e falsi miti rischiarando così quella nebbia fatta di critiche distruttive prive di dialogo, aprendo nuove possibilità d’incontro a tutti noi. Ciò vuol dire diventare parte integrante di questa società, superando quello stato di passività molto comune ai giorni nostri (disillusione e indifferenza), che può costruire una rete forte fatta di solidi valori per crescere e per vivere (abitando) veramente le relazioni, apprezzando e riconoscendo quelle che sono le nostre diversità ed autenticità.
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